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venerdì 28 ottobre 2011

Hikmet

Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d’estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro

(Nazim Hikmet - da Lettere dal carcere a Munevver




   "Credo che la forma sia perfetta,"  diceva Hikmet a proposito della poesia, "quando dà la possibilità di creare il ponte più solido e più comodo tra me, poeta, e il lettore."
"Detesto non solo le celle della prigione, ma anche quelle dell'arte, dove si sta in pochi o da soli." "Sono per la chiarezza senza ombre del sole allo zenit, che non nasconde nulla del bene e del male. Se la poesia regge a questa gran luce, allora è vera poesia."

   Tutte le poesie di Nazim Hikmet sono un ponte, generatrici di incontro. Incontro con l'autore ed il suo mondo, incontro tra ideali o sentimenti e la realtà dell'esperienza vissuta. Sicuramente un incontro di emozioni. Non sono semplici parole scritte, ma portano in sé verità e forza in tutta la loro disarmante pienezza di luce.

    I versi che ho scelto sono del 1949 e dedicati a sua moglie Munevver. In quel periodo Hikmet era in prigione ed in esilio per le sue idee politiche e poiché gli impedivano di scrivere, lui elaborava mentalmente le sue poesie e poi le faceva imparare a memoria a chi andava a trovarlo.  In questi versi si sente l'assenza e il desiderio, la lontananza dalla propria terra come dal proprio amore, il calore e la sofferenza che questi ricordi trasmettono.


   Hikmet, in tutte le sue poesie, parla sempre di sé, del suo paese, del suo mondo, del suo tempo, della sua donna nello stesso respiro. La poesia è contemporaneamente privata e pubblica, vita ed arte, storica e senza tempo. Per Hikmet la donna amata è insieme amante e compagna di lotta, essere umano carnale, completo ed anche slancio ideale di speranza e libertà.
   Qui è inoltre, schiavitù e libertà, due realtà contrastanti messe in parallelo.
  Ovviamente egli non attribuisce alla schiavitù d'amore un significato negativo o morboso, ma intende probabilmente esprimere quel coinvolgimento totale tipico dell'innamoramento che assorbe pensiero ed azione; schiavo perchè legato al pensiero di lei ed ai suoi sentimenti, perché la pone prima di tutto il resto. Forse qui il poeta, paragonandola anche all'opposto del suo ideale supremo per cui ha sempre combattutto nella vita, vuole farle intendere che per lui è il tutto, la luce e l'ombra, la gioia e il dolore, la presenza e l'assenza, l'innamoramento e la passione consolidata. Nei versi finali tuttavia prevale il suo solo grande ideale, ossia indipendentemente dal fatto se rappresenti per se stesso schiavitù o libertà egli riconosce nella donna amata il suo proprio anelito di libertà. Donandole il volto della sua libertà, la considera essere autonomo, libero e non incatenabile sebbene ciò comporti pure il dolore del non averla, del non raggiungerla.

   L'amore dunque cattura, rimanendo inafferrabile, è colto totalmente dai sensi ma è anche incomprensibile, è vittoria ed anche rinuncia, vicinanza e solitudine. Presenza irraggiungibile.
E' essere più che avere, mai il possedere.

   Naturalmente Hikmet sapeva sulla sua pelle cosa fossero libertà e schiavitù, ma secondo te, in che misura la persona amata può essere la nostra schiavitù ed in che modo la nostra libertà? 




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